Così il Salento si fa colonizzare senza ribellarsi

11 Luglio 2014 Così il Salento si fa colonizzare senza ribellarsi

Intervento sul Quotidiano dell’ 11 luglio 2014

Gli indiani d’America almeno lottarono, i salentini si fanno colonizzare senza alcuna resistenza. Non ci resta che piangere. Se il Salento è questo, se questa è la terra in cui sono nato, ho vissuto e per la quale ho combattuto tutta la vita, allora nulla di tutto ciò è valso a qualcosa. Siamo al tragico, perché al ridicolo ci siamo già abituati. Ci stiamo facendo colonizzare, comprare e conquistare, e nessuno si oppone. I salentini non sono quel popolo fiero che molti pensavano, gente agguerrita e orgogliosa, tutt’altro; si stanno comportando come un gregge di pecore, vanno dove qualcuno li porta, anche in fondo al burrone. Non bastavano le campagne coperte di specchi fotovoltaici, o le serre puntellate di spilli eolici, adesso la tracotanza straniera si prende anche le luminarie della più luminescente festa patronale d’Italia e molti dei riti più antichi di questa terra. Le tradizioni salentine sono prontamente svendute al miglior offerente. Trenta denari per comprare un tradimento vergognoso. I salentini voltano le spalle al Salento e si arrendono. Istituzioni, imprese, intellettuali, politici hanno alzato bandiera bianca. Lo dicano apertamente che si sono arresi, che si sono fatti fare la pelle senza opporre resistenza.
Giusto per onestà, almeno questo. Siamo tutti pecore e io invece sono stato un sognatore.
Ho sognato una terra orgogliosa delle sue radici, delle sue ricchezze artistiche, della sua voglia di riscatto. Pensavo che la nostra creatività di imprenditori potesse aiutare la politica a prendere le decisioni giuste, pensavamo cose senza senso evidentemente, perché la gente non sa che farsene di sogni, ideali e speranze, anzi preferisce accontentarsi dell’elemosina del potente di turno e vendere la propria casa, per un pacchetto di sigarette, o per una bottiglia di pessimo whisky, come si faceva con i pellerossa ai tempi delle guerre indiane americane. Gli si schiacciava la testa, mentre quelli meno bellicosi e inclini alla lotta li si ammorbidiva con qualche spicciolo di conveniente arroganza. Sempre la stessa tattica, vecchia ma ancora attuale. Chi ha il coraggio di dire che non è così venga ad esporre le sue ragioni e sarà ascoltato, ma avrà bisogno di argomenti convincenti che, onestamente, non leggiamo sui giornali e che negli ultimi anni non abbiamo minimamente percepito. Al diavolo il politicamente corretto. Qui si approfitta in maniera subdola della debolezza di una terra annichilita dallo strabismo delle politiche regionali di una “strega” chiamata Regione Puglia e delle povertà dei nostri paesi e delle nostre contrade.
Per anni abbiamo puntato sull’identità del territorio e sulle virtù del Salento e che cosa abbiamo ottenuto?
Niente di niente, anzi abbiamo sperimentato il saccheggio della terra, fin nelle sue profondità. Fino a far sparire il tessuto produttivo; non ci sono più aziende sponsor e quindi le multinazionali hanno gioco facile nell’imporre la loro tirannica bandiera. Perfino la squadra di calcio non è più salentina. Perdiamo le Camere di Commercio, le Soprintendenze, il Tribunale Amministrativo e addirittura le Prefetture. E qual è la conseguenza? Che si riesce appena a mettere in scena una riunione del consiglio comunale e qualche riunione di condominio. Anziché mettersi in marcia, con le pitture di guerra disegnate in faccia, e andare a Bari o a Roma a far capire che il Salento è il Salento, tutti se ne sono rimasti buoni, mansueti a salvaguardare lo status quo, il lavoro precario o quello che nemmeno c’è più. Tutti fermi a fumare una sigaretta sulla panchina che il Comune di turno ha fatto costruire magari con la sponsorizzazione di chi vuole fare un gasdotto bucando il mare più bello d’Italia.
Vergogna. Vergogniamoci, perché abbiamo perso. Noi perdiamo e sulle nostre ceneri sorgono le fortune di altri territori. La città metropolitana di Bari, per esempio, che diventerà ancora più affamata di centri decisionali e luoghi di potere. Con gli assessori regionali che si vantano di trascorrere tanto tempo nel Salento, senza far nulla per aiutare i salentini. Io non ci sto. L’agonia della mia terra non mi ha visto complice. Io non ho le mani sporche di sangue. Ci ho provato, fra l’indifferenza e qualche risolino idiota. Ho fatto la mia battaglia per il Salento.
Se il Salento però non la vuole, non sa che farsene, o preferisce continuare a piangere, nessuno potrà farci nulla. Io avrò perso e tutti i salentini avranno perso. Tutto, anche la faccia. E gli stessi politici, arroccati nelle torri del castello, non avranno vinto nulla.
Hanno fatto in modo di impoverirci e ci sono riusciti, l’impoverimento genera la colonizzazione. E noi, ignari e imbelli, ci siamo lasciati svaligiare. Quindi, per cortesia, che nessuno si lamenti più, i salentini stiano zitti. Mazziati, cornuti e contenti come meritano. Il progetto di una Regione autonoma del Salento è nato per dare forza e forma all’enorme potenziale della terra salentina, ma tutti hanno preferito aspettare, prendere tempo e farsi schiacciare dal fatale evolversi degli eventi. Noi stessi eravamo contro le Province e gli enti inutili, ma in cambio di una possibilità di gestire meglio le risorse pubbliche e le politiche di programmazione territoriale, a patto di poter autodeterminare il governo di un territorio maltrattato dalla storia. Ma non certamente per lasciarci soli, senza la Regione e quei quattro uffici di periferia.
Ci hanno comprati ai saldi e adesso ci stanno comprando anche l’anima. Non ci rimane niente, nemmeno l’informazione. Dove c’è il bisogno non c’è libertà, purtroppo. A qualche artista da circo è rimasta ancora la prosopopea del brand Salento a fargli compagnia, una pernacchia che durerà ancora qualche stagione prima di arrivare definitivamente sul binario morto.
Abbiamo perso la battaglia signori, rendiamocene conto. E la nostra sconfitta è bottino di guerra per i falsi amici che arraffano tutto guardandoci con sorriso ironico, mentre noi affondiamo. Ma come ogni affondamento che si rispetti ci sarà sempre qualcuno che suonerà il violino in mezzo al mare. Godiamoci il canto funebre.

Lecce, 11 luglio 2014

di Paolo Pagliaro
Presidente
Movimento Regione Salento