Autonomia? La bozza Calderoli è inaccettabile

26 Novembre 2022 Autonomia? La bozza Calderoli è inaccettabile

La mia intervista sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 26 novembre 2022:
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L’autonomia differenziata come risorsa o come ulteriore forma di penalizzazione per le Regioni più fragili? Il consigliere regionale Paolo Pagliaro, presidente del gruppo de La Puglia domani non ha dubbi: “La risposta è il neo regionalismo”.
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Presidente, come giudica la bozza di riforma presentata dal ministro Calderoli sull’autonomia differenziata?
“L’autonomia differenziata, così com’è stata disegnata nella bozza Calderoli, è inaccettabile. Quel testo non è solo da emendare ma da riscrivere di sana pianta, perché sancisce la spaccatura definitiva tra Nord e Sud del Paese. Il cuore del problema sono i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni: istruzione, sanità, previdenza, assistenza, mobilità, che in ogni angolo d’Italia dovrebbero essere garantiti allo stesso modo e che invece vedono storicamente e fortemente penalizzato il Sud. Se il progetto di autonomia differenziata proposto dal Governo dovesse andare in porto, le Regioni ricche lo diventerebbero ancora di più, a scapito di quelle del Sud condannate ad una povertà e marginalità sempre maggiore”.
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Il vero problema dunque sono le risorse: come si esce da questo divario Nord-Sud?  
“Basterebbe applicare il federalismo fiscale funzionale, secondo cui il grosso dei tributi si paga dove si produce reddito e non dove si detiene la ragione sociale. A trarne vantaggio sarebbe soprattutto il Mezzogiorno, dove si insediano colossi industriali come Ilva ed Enel, grandi imprese turistiche, centri commerciali, multinazionali e gruppi bancari che ne traggono enormi profitti, ma la ricchezza prodotta finisce altrove”.
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Ci sono ambiti che potrebbero determinare una maggiore discriminazione tra le Regioni italiane?
“In materia di personale sanitario e scolastico, qualora venisse attuato il modello di autonomia differenziata targato Calderoli, il Paese si dilanierebbe. Perché se si consentisse alle Regioni più ricche di integrare i contratti nazionali con propri contratti regionali, si produrrebbe una emorragia di medici e insegnanti verso il Nord, allettati da condizioni retributive e garanzie occupazionali più vantaggiose”.
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Potrebbe esserci un’altra strada da percorrere per evitare il rischio?
“Con le attuali Regioni cosi diverse (Lombardia con 10 milioni di abitanti rispetto a Molise con 290mila o Valle D’Aosta con 123mila) è molto difficile parlare di federalismo e di autonomia in equilibrio per tutti. La soluzione potrebbe essere la proposta di legge sul neo regionalismo che elaborai con la Società Geografica Italiana nel 2013 e che fu sottoscritta dall’attuale premier Giorgia Meloni, condivisa da esponenti politici bipartisan e presentata in Parlamento. Prevede 31 Regioni di dimensioni ottimali, tutte uguali, con la giusta vivacità economica prevista dalla Costituzione e ciascuna con la propria identità storica e culturale. Questo nuovo mosaico regionale sarebbe articolato non più su quattro livelli ma su tre: Governo centrale, Comuni e 31 Regioni, senza più le Province fantoccio e le Città metropolitane (ex Province) asso pigliatutto. Il nostro disegno neo regionalista limita inoltre l’autonomia legislativa delle Regioni ma ne rafforza l’azione amministrativa, che si traduce in maggiore e migliore capacità gestionale. Questo consentirebbe uno snellimento amministrativo e burocratico da cui deriverebbero risparmi in termini di spending review e benefici tangibili per la qualità di vita dei cittadini, da Sud a Nord”.
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Esiste un modello virtuoso di autonomia differenziata a cui ispirarsi?
“Certo, e non bisogna andare lontano: è quello della Federazione Elvetica, come teorizzato da Carlo Cattaneo: un sistema politico capace di un bilanciamento esemplare tra la centralizzazione di alcuni poteri e la gestione autonoma dei suoi 26 cantoni”.
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Quale potrà essere, in futuro, il rapporto tra Stato e Regioni?
“Credo che l’autonomia differenziata non debba prescindere da un patto leale con lo Stato, che riconosca il valore delle autonomie locali come strumento e non come impedimento per lo sviluppo. Va recuperato il rilievo democratico del contrappeso tra poteri dello Stato e dei territori, che i Padri Costituenti esplicitarono nell’articolo 5, come antidoto alla centralizzazione e monopolizzazione del potere. Non a caso le Regioni diventano gli attori della politica di modernizzazione del Paese che il Governo Moro immagina con la programmazione economica del 1963, per riuscire a superare il divario Nord-Sud. Divario che invece non è mai stato colmato”
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