Quando la tv fa male ai giovani. Basta all’eccessiva spettacolarizzazione della notizia

18 Aprile 2008 Quando la tv fa male ai giovani. Basta all’eccessiva spettacolarizzazione della notizia

 Quali effetti può provocare la visibilità che quotidianamente offre il piccolo schermo? Mi riferisco a tutta quella serie di programmi, talk show e salotti televisivi vari che ad oggi dedicano gran parte dei loro spazi ad argomenti di cronaca nera, che forse andrebbero riservati a situazioni più istituzionali e meno spettacolari.

Diverse sono oggi le tv che puntano a mettere in scena tragedie e problemi che appartengono alla gente comune, come il caso di persone scomparse, o delitti irrisolti, o amori finiti male: l’influenza della tv nella realtà quotidiana è ormai un dato di fatto, ma spesso si perde il controllo e la tv diventa eccessiva, portando alla ribalta storie molto delicate, tormentate, difficili, strumentalizzando la sofferenza altrui per incrementare la morbosità del pubblico, stimolando la curiosità e suscitando scalpore.
C’è chi dice che, per evitare conseguenze disastrose, basta avvisare gli spettatori nel momento in cui si stanno per mandare in onda programmi o servizi giornalistici contenenti immagini particolarmente cruente, sconsigliandone la visione ai bambini e a chi non sopporta emozioni forti: ecco il modo giusto per scaricarsi la coscienza e sentirsi a posto con se stessi…!

Il problema è che se oggi si dovessero per davvero avvisare in tempo gli spettatori in merito ai contenuti da mandare in onda, ci sarebbe ben poco da vedere in tv: è all’interno di programmi di intrattenimento pomeridiani che si possono cogliere i particolari della strage di Erba, o le immagini “da brivido” nell’appartamento della povera ragazza di Perugia, o in alternativa, per chi volesse invece solo “rilassarsi” un po’ davanti alla tv, c’è la famosa soap opera “Beautiful” giusto in tempo per il pranzo, con le “incestuose” storie d’amore di Brooke, o, subito dopo pranzo, le scene quasi “sadomaso” di “Centovetrine”.
E’ giusto trasmettere simili valori in tv, oltretutto in orari assolutamente accessibili ai minori? La televisione dovrebbe per eccellenza essere uno strumento che educa, che informa, che promuove valori positivi; la seduzione esercitata da simili tematiche correlate a scene di forte impatto visivo ed emotivo non sono per la televisione, che è per tutti, che è l’unico medium che permette indistintamente di raggiungere il suo pubblico, ma invece dovrebbero essere offerte ad un pubblico più selezionato, magari al cinema, dove si è liberi di acquistare un biglietto e di scegliere preventivamente il film da vedere informandoci sulla trama.
Se continuiamo così, il ruolo pedagogico della televisione, e nello specifico l’affidabilità del giornalismo televisivo vacillerà sempre di più agli occhi dei cittadini: va bene il dovere e il diritto di fare cronaca, di informare, di mantenere il pubblico aggiornato su importanti risvolti, ma le leggerezze, le imprecisioni e il sensazionalismo con cui si trattano quotidianamente argomenti di estrema delicatezza sono in evidente violazione di ogni norma deontologica caratterizzante il corretto diritto di cronaca.

Oggi la concorrenza è sempre più accanita, i direttori dei tg premono per avere notizie sempre fresche e in tempi record; i giornalisti sono sempre meno scrupolosi o pigri nel verificare l’influenza del proprio operato sul pubblico: la spettacolarizzazione causata da esigenze di bilancio e di audience può essere tollerata quando si raccontano avvenimenti di cronaca leggera, di gossip, di politica, di sport e quant’altro, ma quando oggetto del racconto sono invece fatti di cronaca nera, le esigenze di sponsor dovrebbero essere in qualche modo messe da parte a tutela della sicurezza pubblica contro tentativi di emulazione, soprattutto da parte dei giovani, che non sempre riescono a distinguere nettamente la realtà da ciò che realtà non è.
Credo che tutti noi abbiamo il sacrosanto diritto ad essere informati su tutto ciò che ci accade intorno, ma faccio fatica a capire l’utilità di spiegare per filo e per segno come determinati gesti criminali sono stati pianificati prima ed eseguiti poi, entrando nei particolari più raccapriccianti con tanto di immagini di corredo: è così che ad oggi si occupano ore ed ore di palinsesto, costruendo programmi televisivi “ad hoc”. Nella società dell’apparenza e della visibilità a tutti i costi, entrare nei minimi particolari delle notizie di cronaca nera può mettere in serio pericolo il diritto alla sicurezza di ogni cittadino: è indubbio che fornire particolari gratuiti che nulla in più aggiungono ad una corretta, completa e soprattutto leale informazione, non fa di certo onore ad un conduttore o a un giornalista televisivo.

Esiste un regolamento ben preciso a tal proposito: l’art. 15 della legge sulla stampa vieta la pubblicazione di particolari impressionanti o raccapriccianti; sotto il profilo deontologico la pubblicazione di immagini troppo crude è considerata offensiva della dignità della persona coinvolta e prevede una sanzione dal competente Ordine dei giornalisti, sia rispetto alla Carta dei doveri sia rispetto all’art. 8 del codice di deontologia, ed inoltre anche la legge sulla privacy considera la dignità un bene inalienabile.
Coloro che fanno i giornalisti di professione, ancor più se televisivi, devono possedere la capacità di capire innanzitutto cos’è una notizia e distinguerla da “bufalate” e “falsi scoop”: l’informazione deve essere equilibrata, realistica, e questo non vuol dire porre limiti alla libertà di informazione, ma significa rispettare le regole, che per un giornalista sono regole universali, come lo sono le regole etiche per i medici. Un giornalista è un servitore pubblico, che lavora al servizio di tutti i cittadini, e, per questo, deve rispondere al pubblico del suo operato: quando si trasmettono le immagini di un servizio giornalistico in tv, non basta nascondersi dietro al diritto – dovere di cronaca, ma si devono trattare le fonti e i soggetti dei propri servizi come degli esseri umani degni di rispetto, e non come mezzi utili soltanto per raggiungere i propri fini giornalistici.

Basta non fare finta di dimenticarsi, alla prima occasione utile, che raccogliere e portare sullo schermo le notizie di ogni giorno può causare danni, e se si vogliono prendere delle decisioni etiche corrette, è necessario porsi le domande giuste: cosa succederebbe a ruoli invertiti? Come mi sentirei io a vedere scene di una violenza inaudita che riguardano un mio familiare? Mettiamoci nei panni dei soggetti coinvolti: quali sono le possibili conseguenze delle mie azioni? A breve termine? A lungo termine?
Si può anche sbagliare, a volte in buona fede, ma non si deve dimenticare che è in gioco non solo la credibilità del giornalista in questione, ma anche della testata intera, e che bisogna poi giustificare in modo chiaro ed inequivocabile le proprie scelte ai cittadini. Chiedere scusa, per chi lavora nel campo dei media e dunque corre continuamente il rischio di fare scelte importanti che influiscono sui propri fruitori, a volte serve, anzi è indispensabile per recuperare la buona educazione: l’etica e il senso di responsabilità non sono numeri, sono valori.
E’ arrivato il momento di capire, una volta per tutte, che l’informazione non può e non deve diventare spettacolarizzazione ispirata più all’amore per l’audience che all’amore per la verità: in gioco c’è la dignità delle persone.

di Paolo Pagliaro

Lecce, 18 aprile 2008