Più informazione e non falsi scoop

10 Maggio 2008 Più informazione e non falsi scoop

 

Il telecomando è lo strumento per eccellenza capace di salvaguardare la libertà individuale dello spettatore nella scelta dei programmi televisivi, ma continuamente nascono polemiche e divergenze in merito all’uso che si può fare della televisione, soprattutto in riferimento al suo rapporto con la realtà quotidiana: è il caso di riflettere sulla questione.
Quali effetti può provocare il potere dello schermo? Mi riferisco a tutta quella serie di programmi, talk show e salotti televisivi vari che ad oggi dedicano gran parte dei loro spazi ad argomenti di cronaca nera, che forse andrebbero riservati a situazioni più istituzionali e meno spettacolari: è all’interno di programmi di intrattenimento pomeridiani o serali che si possono cogliere i particolari più raccapriccianti della strage di Erba, o le immagini “da brivido” nell’appartamento di Meredith, la povera ragazza inglese, a Perugina.
E’ giusto trasmettere simili valori in tv, oltretutto in orari assolutamente accessibili a tutti ed anche ai minori? La televisione dovrebbe per eccellenza essere uno strumento che educa, che informa, che promuove valori positivi; la seduzione esercitata da simili tematiche correlate a scene di forte impatto visivo ed emotivo non sono per la televisione, che è per tutti, ma dovrebbero essere offerte ad un pubblico più selezionato, magari al cinema, dove si è liberi di acquistare un biglietto e di scegliere preventivamente il film da vedere informandoci sulla trama.

Va bene il dovere e il diritto di fare cronaca, di informare, di mantenere il pubblico aggiornato su importanti risvolti, ma le leggerezze, le imprecisioni e il sensazionalismo con cui si trattano quotidianamente argomenti di estrema delicatezza sono in evidente violazione di ogni norma deontologica caratterizzante il corretto diritto di cronaca.
Oggi la concorrenza è sempre più accanita, i direttori dei tg premono per avere notizie sempre fresche e in tempi record; i giornalisti sono sempre meno scrupolosi o pigri nel verificare l’influenza del proprio operato sul pubblico: la spettacolarizzazione causata da esigenze di bilancio o dalla smania dell’Auditel non può essere tollerata quando oggetto del racconto sono fatti di cronaca nera; le esigenze di sponsor dovrebbero essere in qualche modo messe da parte a tutela della sicurezza pubblica contro tentativi di emulazione, soprattutto da parte dei giovani, che non sempre riescono a distinguere nettamente la realtà da ciò che realtà non è.

Nella società dell’apparenza e della visibilità a tutti i costi, entrare nei minimi particolari delle notizie di cronaca nera e nei dettagli di efferati delitti può mettere in serie pericolo il diritto alla sicurezza di ogni cittadino: è indubbio che fornire particolari gratuiti che nulla in più aggiungono ad una corretta, completa e soprattutto leale informazione, non fa di certo onore ad un conduttore o a un giornalista televisivo.
Esiste un regolamento ben preciso a tal proposito: l’art. 15 della legge sulla stampa vieta la pubblicazione di particolari impressionanti o raccapriccianti; sotto il profilo deontologico la pubblicazione di immagini troppo crude è considerata offensiva della dignità della persona coinvolta e prevede una sanzione del competente Ordine dei giornalisti, sia rispetto alla Carta dei doveri sia rispetto all’art. 8 del codice di deontologia, ed inoltre anche la legge sulla privacy considera la dignità un bene inalienabile.
Coloro che fanno i giornalisti di professione, ancor più se televisivi, devono possedere la capacità di capire innanzitutto cos’è una notizia e distinguerla da “bufalate” e “falsi scoop”: quando si trasmettono le immagini di un servizio giornalistico in tv, non basta nascondersi dietro al diritto – dovere di cronaca, ma si devono trattare le fonti e i soggetti dei propri servizi come degli esseri umani degni di rispetto, e non come mezzi utili soltanto per raggiungere i propri fini giornalistici.
Non basta avvisare gli spettatori nel momento in cui si stanno per mandare in onda programmi o servizi giornalistici contenenti immagini particolarmente cruente, sconsigliandone la visione ai bambini e a chi non sopporta forti emozioni, questo è solo il modo giusto per scaricarsi la coscienza e sentirsi a posto con se stessi.

Se si vogliono prendere delle decisioni etiche corrette, è necessario porsi le domande giuste: cosa succederebbe a ruoli invertiti? Come mi sentirei io a vedere scene di una violenza inaudita che riguardano un mio familiare?
Mettiamoci nei panni dei soggetti coinvolti: quali sono le possibili conseguenze delle mie azioni? A breve termine? A lungo termine?
E’ arrivato il momento di capire, una volta per tutte, che l’informazione non può e non deve diventare spettacolarizzazione ispirata più all’amore per l’audience che all’amore per la verità: in gioco c’è la dignità delle persone.

di Paolo Pagliaro

Lecce, 10 maggio 2008