L’orizzonte lungo della terra d’Otranto

27 Luglio 2013 L’orizzonte lungo della terra d’Otranto

Intervento pubblicato da Quotidiano del 27 luglio 2013

Dalla lettura dell’editoriale di domenica scorsa del direttore del Quotidiano Claudio Scamardella si ricavano spunti di riflessione interessanti che contribuiscono a dare significato ad una battaglia di opinione che certamente potrà essere di aiuto a questa terra. Premetto che l’ipotesi della candidatura di Lecce a capitale della Cultura europea è affascinante e che da subito mi è sembrato un modo importante per testimoniare le tante ricchezze culturali della nostra città e del nostro territorio, nella speranza che prima o poi diano i frutti che meritiamo. Ma andiamo con ordine. Nessuno può invocare una candidatura disgiunta da un contesto. Il contesto è quello più ampio, del cosiddetto Salento, in cui Lecce si distingue, certo, ma che non esaurisce in termini di complessità culturale. Cosa sarebbe Lecce senza il resto del territorio? Senza le coste dell’Adriatico e dello Jonio e senza l’entroterra dei cento borghi e delle mille meraviglie, sarebbe un generale senza esercito che non saprebbe come vincere alcuna battaglia. Se la Politica divide la Cultura unisce possiamo dire, e allora in questo caso bisogna davvero stringersi attorno all’idea che con fatica abbiamo costruito negli ultimi vent’anni: l’idea di Salento. Non un’idea nostra, una trovata giornalistica, o un’operazione di marketing territoriale, ma un’eredità della Storia, prima ancora, direi, della geografia. Sulle mappe, infatti, esiste la penisola salentina e negli atlanti storici si parla di Salento come insieme dei territori di Lecce, Brindisi e Taranto fin dal 1820, quando in età borbonica, il Salento, la primordiale Terra d’Otranto, si presentava come un territorio certamente di frontiera, ma forte delle sue tradizioni e dei suoi retaggi architettonici e artistici. L’opzione di Lecce e Taranto alleate in questa battaglia per l’ottenimento dello status di capitale europea della Cultura, al di là del tecnicismo del concorso che impone la nomination di una città e non di una cordata di città o province, risulta intelligente e obbligatoria per qualsiasi programma di sviluppo economico, culturale e politico del territorio. Lecce e Taranto unite da ragioni storiche derivanti dalla dominazione ellenistica, successivamente a quella messapica, poi Terra d’Otranto con una denominazione politico amministrativa che non teneva conto della centralità dei capoluoghi ma della loro centralità geografica nel Mediterraneo. Non esistono altre candidature che possono vantare tale straordinaria centralità culturale in una prospettiva europea, essendo il punto di inizio dell’Europa da Sud, il luogo dal quale è cominciata la cristianizzazione del continente e quindi la sua prima identità culturale. Le ragioni storiche tradite, nel corso del Novecento, prima in epoca fascista, poi durante l’Assemblea Costituente della Repubblica italiana, sono soltanto la base da cui partire, la base per l’unità del territorio che non deve vincere un progetto o un concorso, ma deve vincere una guerra per la sopravvivenza, ormai non più rinviabile. Lecce deve rinverdire il nome antichizzato di Firenze del Sud, trovando una nuova identità che le dia la forza di vivere al di sopra del travaglio lavorativo ed economico di questi tempi, Taranto deve riabilitare la sua immagine ottenebrata dai fumi dell’industria pesante, senza la quale sarebbe una delle più belle città del Sud, come ebbe a dire il regista salentino Edoardo Winspeare mentre girava “il Miracolo”. L’esperienza della candidatura a Capitale della cultura Europa 2019 può aiutare a riscoprire l’unità perduta, specie in un momento in cui le Province sono destinate a diventare Enti amministrativi di secondo livello e le Regioni attendono di essere riviste nel numero e nelle dimensioni, secondo riforme neoregionaliste che sono oggetto di attenzione da parte dell’’attuale Governo. Non c’è alcuna controindicazione nel ricercare forme e strumenti di collaborazione territoriale, anzi. Quando le Province verranno meno i territori confinanti torneranno, naturalmente ad essere una cosa sola, senza confini, o demarcazioni. A quel punto riemergerà il lo strato sub regionale che è stato sepolto ingiustamente e Lecce, Taranto e Brindisi potranno competere con luoghi rinomati del palcoscenico nazionale, come la Romagna, la Versilia, il Cilento, la Maremma, la Costiera amalfitana. Al Salento va data questa opportunità e se la devono dare per primi i salentini. Tutti i salentini, gli jonici, i messapici, i grecanici, i leucani. Questo fine oggi giustifica i mezzi che abbiamo a disposizione.

di Paolo Pagliaro

Lecce, 27 luglio 2013

27.7.13