Quell’incapacità di rappresentare questo territorio

13 Gennaio 2014 Quell’incapacità di rappresentare questo territorio

Sono convinto che questa terra meriti molto, ma a volte mi rendo conto che la “messicanite” prevale. Una definizione azzeccata, coniata da un maestro di giornalismo come Domenico Faivre, che rappresenta perfettamente un certo nostro modo di essere.
Sulla vicenda del gasdotto Tap, sulla quale da tre anni abbiamo preso una posizione chiara per il NO nel Salento, mi sarei aspettato una mobilitazione totale, e invece se non fosse per quei movimenti di opinione o per le associazioni ambientaliste, difficilmente la questione del gasdotto sarebbe diventato un caso. Merito quindi a quegli indomiti guerrieri mohicani che si oppongono strenuamente alle invasioni barbariche.
Senza questa azione di cittadinanza attiva non è possibile vincere le battaglie, anche quelle sacrosante, quelle che tutti considerano giuste o legittime, quelle che hanno a che fare con il futuro dei nostri figli.
Sarebbe bello quindi avere un popolo unito e ben rappresentato a livello territoriale sulle scelte strategiche.
Cittadini consapevoli e impegnati sono l’antidoto agli abusi e ai soprusi che questa terra ha dovuto incassare negli anni. Ecco perché la nostra azione deve seguire il binomio forte “consapevolezza e democrazia”. Con questi concetti alla base, difficilmente questo territorio avrebbe accettato o accetterebbe ancora colossi industriali come l’Ilva e Cerano o la desertificazione dei terreni con il fotovoltaico e l’eolico.

E allora perché tutto questo? La risposta è semplice: perché questa terra non ha mai avuto una classe dirigente, realmente impegnata a rappresentare i diritti della popolazione. Una dirigenza politica in grado di perseguire gli interessi del territorio, di opporsi alle aggressioni e di guidare il cambiamento secondo la coscienza locale. Quando la classe politica non è stata in mala fede è stata certamente inadatta per incapacità caratteriale e culturale.
I principali interessi sono stati quelli di approfittare del territorio, facendo ricadere scelte di pochi sulla testa di tutti, escludendo i cittadini e la loro sensibilità, senza considerare il fatto che proprio i cittadini sarebbero stati la prima linea da sacrificare nell’ eventualità di impatti eco ambientali nefasti.
I dati sulla salute nel Salento sono allarmanti e una causa dovrà pur esserci, anzi la immaginiamo. Far finta di niente sarebbe imperdonabile e mai e poi mai potremmo accettare di svendere la salute dei nostri giovani per un tozzo di pane.
Perché ogni tentativo di colonizzazione economico industriale che si tenta di esperire sul territorio non porta che un tozzo di pane al territorio stesso. Mai un rapporto virtuoso fra costi e benefici per la nostra gente, mai reali occasioni di sviluppo, ma solo rischi e sopraffazioni.

Ecco che a un certo punto, la misura si colma e la pazienza finisce, ecco perché non sarà più possibile far finta di niente mentre il No organizzato diventa una regola comportamentale per la sopravvivenza.
In mancanza di una guardia politica, la gente deve farsi la politica da sé, perché se ci fosse stata la politica in questo territorio, come avvenuto altrove, non ci troveremmo in questo stato di prostrazione, convinti come siamo che il Salento non sia una terra povera, piuttosto impoverita, colonizzata o addirittura saccheggiata.
Il vuoto in natura non esiste e viene sempre compensato. L’assenza della politica automaticamente porta le gente a muoversi per difendere le proprie ragioni e quello che avviene a San Foca diventa lo specchio di una coscienza militante di nuova generazione.
Accanto al No organizzato si pone il modello di sviluppo salentino, quello che le popolazioni locali ritengono di doversi dare assecondando una visione salentina dell’economia e dell’ambiente.

In Italia ci sono regioni sviluppate che non hanno programmato il loro sviluppo con l’industria pesante, quasi sempre inquinante, e che hanno invece fatto economia con il paesaggio, la natura, il cibo,l’arte la storia. Senza voler paragonare il Salento alla Toscana, all’ Umbria o al trentino, peccando di superbia, ci basti pensare alle infinite architetture dei nostri borghi, ai palazzi, alle chiese, ai monumenti, ai parchi archeologici, alle grotte, alla costa, al mare, alla campagna e a tutto quello che dimenticheremo di inserire in questo elenco.
E’evidente che parlare di territorio povero è impossibile. Mentre è probabile dover parlare di territorio nascosto, di opportunità mai colte, di politica morta che non ha fatto vivere ciò che altrove ha dato da vivere a tanti.

Il territorio può cambiare passo, se approfitta delle occasioni offerte dall’ Europa, in una visione amministrativa moderna al centro della quale ci siano enti decisionali forti e determinanti, in grado di programmare uno sviluppo calzante, ovvero aderente ai bisogni del territorio, alle sue vocazioni.
Il settore primario non è un patrimonio da ignorare, ma utilizzato in chiave moderna può generare ricchezza nel turismo che resta il settore potenzialmente più valido da sfruttare, del quale si è ancora utilizzato molto poco, perché l’opera di sensibilizzazione fin qui svolta non è stata efficace.
Si è preferito, talvolta per iniqui interessi, far credere che sarebbe più vantaggioso aspettare lo straniero che prende in affitto pezzi della nostra terra per sfruttarlo a modo suo, quando il vantaggio sarebbe doppio per noi.
Utilizziamo noi i nostri beni, anche perché nessuno potrebbe amare il Salento più dei salentini.
Diciamo si al futuro allora, ma a modo nostro.

di Paolo Pagliaro

Lecce, 13 gennaio 2014