Senato autonomie e neoregionalismo: è la volta buona

25 Febbraio 2014 Senato autonomie e neoregionalismo: è la volta buona

Tutti si chiedono in queste ore, se almeno questa sarà la volta buona, la volta in cui un Governo riuscirà a fare le cose che vanno fatte, quelle cose davvero necessarie.
Il Governo Letta nei suoi 9 mesi ha fallito gli appuntamenti principali e viene ricordato più che altro per le polemiche i gli scandali che hanno visto coinvolti alcuni suoi ministri (idem, Cancellieri, Di Girolamo).
Da Renzi molti si aspettano quello che è mancato: la concretezza decantata dal segretario nazionale del Pd.

Un sindaco, abituato ai problemi degli enti locali e consapevole delle ristrettezze che pregiudicano la crescita e lo sviluppo dei territori, potrebbe avere lo spirito adatto al cambiamento e il coraggio per attuare quel cambio di rotta che potrebbe portare l’Italia fuori dal pantano in cui si ritrova, partendo da punti semplici e precisi.
Meno burocrazia, più efficienza, meno politica nello Stato, più società civile nella politica, meno enti inutili, più capacità di incidere sul cambiamento, per garantire a tutti le stesse occasioni e opportunità.
La strada è già segnata con la riforma del titolo V della Costituzione e le nuove competenze legislative e amministrative dei centri decisionali dello Stato.
Il presidente Renzi ha una grande responsabilità, che non è quella di allargare la fascia del consenso, bensì quella di diminuire il divario fra l’Italia e i Paesi nord europei e tra il nord e il sud dell’Italia stessa.

Per tagliare le spese, contenere gli sprechi, abolire privilegi, non basta fare annunci o comizi, bisogna fare le riforme, bisogna stabilire con norme ad hoc, quello che si deve e non si deve fare, come migliorare insomma lo stato dell’arte.
Al nuovo premier ci permettiamo di presentare subito il nostro modello di neoregionalismo, supportato dallo studio scientifico della Società Geografica Italiana, che prevede l’abolizione delle 110 province e delle attuali 20 regioni con un riordino territoriale complessivo con 36 regioni omogenee per superficie e popolazione, con strutture sostenibili, vicine al territorio, in stretta relazioni con gli Enti locali, con nuovi Statuti e meno apparati collaterali. Più semplici e meno costose per il cittadino, e doppiamente vantaggiose per via della loro aderenza al patrimonio sociale, economico e culturale dell’area geografica di riferimento.

Un modello innovativo e tutto sommato semplice che contempli un nuovo quadro geopolitico interno con regioni più piccole, territori più omogenei ed equilibrati nella loro gestione amministrativa e più virtuosi nell’attività di spesa e di organizzazione economico finanziaria.
Matteo Renzi sa bene che la crisi economica è stata aggravata dall’incapacità istituzionale dello Stato italiano, vittima di apparati vecchi e lontani dagli standard di efficienza europea.
La nostra proposta è stata già oggetto di attenzione e di osservazioni da parte del Governo uscente a cui è mancato l’input decisivo del ministro Delrio.
E’ proprio da qui che si deve partire per giungere a una trasformazione graduale dell’architettura statale, prevedendo il Senato delle Autonomie, quale luogo di rappresentanza degli enti territoriali. Il primo passo verso una migliore gestione politica all’interno di un modello di federalismo che l’Italia non ha saputo ancora attuare. Magari secondo il modello svizzero, dove sull’esempio dei Cantoni si possano individuare Distretti regionali autonomi e dotati di piena responsabilità.

Una riforma complessiva e generale nella quale trovi diritto di cittadinanza il decreto svuota Province, perché l’abolizione delle Province, in assenza di una riforma di ordine superiore, è poca roba, anzi un errore madornale o addirittura un delitto, se si pensa di ovviare alla mancanza di coordinamento amministrativo territoriale con l’attivazione delle Città metropolitane che spingerebbero ancor di più verso una centralizzazione del potere sui capoluoghi regionali attuali, inadatti a servire le mille diverse ragioni economiche e culturali di regioni geograficamente molte estese. Pensiamo alla Puglia, basta guardare alla gestione schizofrenica e cieca di questi anni che non ha mai equiparato i territori, nonostante promesse, slogan elettorali e dichiarazioni di intenti.

Il Salento ha avuto pochissimo in tutti i sensi dalla “sua” Regione ed anzi il contenzioso fra territori è aumentato e ha prodotto traumi a volte irreversibili.
Pochi centri decisionali ma forti allora, senza quei carrozzoni che hanno succhiato la linfa vitale ai territori fino a farli ammalare. Gli organi di rappresentanza necessari senza enti inventati ad arte per favorire le carriere degli amici dei potenti o dei potenti orfani del potere a causa di incidenti elettorali.
Se il Salento fosse stato una Regione autonoma, secondo il modello del Trentino, oggi scriveremmo altre cose, senza dover ricordare ancora una volta che siamo sempre fermi al punto di partenza.
Renzi che sta per partire, porti il testimone fino al traguardo, ricordandosi del bene dei cittadini italiani. Tutti anche e soprattutto quelli lontani dalla sua parte politica. Un governante lavora per tutti. La democrazia è nata per questo.

di Paolo Pagliaro
Presidente
Movimento Regione Salento

Lecce, 25 febbraio 2014