“MESSAPIA - TERRA TRA DUE MARI”

A cura di Lory Larva

Paolo Pagliaro Editore

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sociologia

Una storia ricca di storie è quella condensata in “Messapia. Terra tra due Mari”, quasi come il tempo si fosse fermato nel racconto catturato in uno scatto dedicato all’epoca di un popolo. Più di una semplice fotografia si tratta di una ricostruzione elaborata del passato nel tentativo di comprendere meglio il futuro, cogliendo a pieno il messaggio dell’antichità, che diventa di stretta attualità. Nel solco dei classici viene restituita una pagina del fascino antico, fondata su una potente architettura narrativa ed evocativa, scritta con un linguaggio a tratti solenne ed epico, ma sempre spontaneo e mai intellettuale, in prospettiva di un coinvolgimento emozionale del lettore.

Il tono celebrativo che ne scaturisce, senza mai cadere nell’enfatico, esalta quelle bellicose e indomite genti messapiche, attrici protagoniste sullo sfondo delle incredibili vicende delle più rinomate civiltà mediterranee. Il flusso narrativo viene intervallato da descrizioni pittoriche di scorci panoramici riflessi su uno specchio d’acqua pullulante di navi mercantili prima micenee e poi greche, minacciate dalla pirateria illirica. Bastano poche pennellate per focalizzare il ruolo autentico della Messapia, descritta come una terra bagnata da ogni lato dal mare e costellata di boschi selvatici e querceti sferzati dal vento.

A completare il quadro mura ciclopici espugnabili, distese di ricche necropoli, villaggi di capanne con tetto stramineo e nuclei di case di età arcaica ricoperti da tegole, santuari indigeni e di stampo magno greco, pervasi dal fumo degli olocausti.

Il paesaggio è animato da agricoltori e allevatori, leader tribali e sovrani al comando di eserciti di guerrieri – pastori rudi e pacifici, ma disposti ad abbandonare i verdi pascoli per schierarsi con fierezza ed orgoglio in battaglia campale di fronte all’implacabile nemico, infervorato da un odio ancestrale.

Artas il Grande, nella veste di dinasta locale, è pronto a scuotere le coscienze intorpidite, galvanizzando animi di lanciatori di giavellotto, mentre Opis, re degli Iapigi, è condannato a sacrificare la propria vita insieme a quella dei suoi valorosi opliti per arginare l’inarrestabile avanzata dei coloni placedemoni di Taranto. Le gesta eroiche di questi due popoli, uno spinto dalla tracotanza della superiorità culturale ellenica alla conquista di nuove terre, l’altro serrato ostinatamente nella difesa di quelle autoctone occupate ormai da secoli, fanno da controaltare ad eventi determinati non solo dal valore umano, ma anche da prodigi divini.

Da un balcone privilegiato si scorge in lontananza una società fondata sul rispetto delle antiche virtù, regolate dai costumi degli avi, e sul culto, strumento cieco di forze superiori, occulte e sovrannaturali in grado di sovrintendere alle umani sorti vaticinate dagli oracoli, in alcuni casi oralmente, in altri attraverso le foglie disperse da folate di vento.

E furono guai per i vinti condannati all’oblio.

Paolo Pagliaro

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