
10 Ottobre 2007 Non solo Auditel, sì al Qualitel. In Televisione la qualità prima di tutto
Una premessa: la televisione, per non morire, ha bisogno del pubblico.
Ma l’Auditel è solo un termometro statistico, eppure distrugge o costruisce carriere, agevola o meno i fatturati pubblicitari.
E’ preoccupante che Auditel sia nato come strumento al servizio del marketing e ha poi assunto il ruolo improprio di giudice insindacabile.
Ecco perchè: Auditel considera in prima battuta un gruppo di famiglie, dalle quali estrae quelle sui cui televisori vengono applicati i dispositivi. Probabile che le famiglie più disponibili siano le più teledipendenti, il che introduce una distorsione. Un campione, per essere tale, deve rappresentare l’universo di riferimento: casualità, stratificazione, distribuzione geografica, caratteristiche strutturali delle famiglie e del loro “parco” televisivo.
In più il campione resta lo stesso almeno per cinque anni. E chi accetta il meter lo fa per spirito di servizio o come “mestiere”? E’ difficile individuare e casomai influenzare qualcuno dei possessori dei meter?
Il risultato (ascolto medio) è dato dal rapporto tra il numero di spettatori sintonizzati su un programma e la durata del programma.
Ma davanti al televisore si può pranzare, discutere, dormire… Come individuare le motivazioni, i valori sociali o morali che lo spettatore elabora fruendo i programmi? E’ come se accendere la tv significa automaticamente “seguirla”.
Niente di più sbagliato.
Per questo in televisione la qualità dovrebbe venire prima di tutto: non perché non ci debba essere la rilevazione degli ascolti, ma perché ce ne dovrebbe essere di più (mancano, ad esempio, i dati provinciali), più ricche e soprattutto più articolate.
Se si innesta un circolo virtuoso, per cui le produzioni, sapendo che c’è il Qualitel, scelgono i contenuti da trasmettere, questo diventa un passaggio significativo per tutti gli editori.
Si terrà conto di come la gente ha valutato un programma, fino a rilevare le motivazioni soggettive che spingono l’utente a fare quella scelta.
L’obiettivo è rendere protagonista il telespettatore, che interagisce e fornisce una serie di valutazioni su ciò che vede. Con l’avvento del digitale avremo a disposizione un pubblico straordinario, una platea infinita, che potrà orientare il nostro modo di lavorare.
Il tutto su un doppio binario: un sistema di rilevamento tradizionale “ face to face”, e un sistema via internet, attraverso spazi appositi (siti) che permetteranno di avere a disposizione un sistema di rilevazione costante.
Qualitel significa ampliamento, e non annientamento dell’Auditel. Alcune tv locali scelgono di offrire uno specifico orientamento alla comunicazione: sono le televisioni “Indies”, neologismo per indicare un modello di televisione che coniuga innovazione e tradizione, che si pone al passo con i tempi, ma nella direzione di una decisa e più accanita difesa dei valori identitari che ci appartengono.
A differenza delle televisioni “omologate” che puntano per lo più su format globalizzati, fanno poca autoproduzione, ci propongono i programmi televisivi delle grandi multinazionali americane (soap, reality, wrestling), giapponesi (cartoni animati), brasiliane (telenovelas), o in alternativa format che scimmiottano i network internazionali.
La televisione “Indies” richiede senza dubbio sforzi maggiori, costi elevati (apparecchiature, personale addetto), ma i suoi effetti inevitabilmente si riverberano positivamente: si crea forza lavoro, si costruiscono professionalità, si lascia spazio ai talenti locali, alla meritocrazia, creando opportunità di realizzazione per i giovani.
Rifacendosi alla sociologia, l’obiettivo è un tentativo di opporsi al “media imperalism” (John B. Thompson), e di ribattezzare il concetto di “indigenizzazione” (Arjun Appadurai), per significare l’impegno da parte delle singole e diverse società locali ad appropriarsi e rielaborare le forme e le espressioni delle altre culture con le proprie specificità.
(pubblicato su SOUTH)
di Paolo Pagliaro
Lecce, 10 ottobre 2007