Il Salento ha “sete” ma si continua a sprecare l’acqua

24 Giugno 2022 Il Salento ha “sete” ma si continua a sprecare l’acqua

Il mio intervento sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 24 giugno 2022:

 

 

Il Salento ha sete. Da sempre, ma mai come adesso. L’atavica carenza di acqua è aggravata da un’estate anticipata e rovente, che inaridisce piante e alberi da frutto e indurisce le zolle, riducendo i campi in deserto. La gente del Salento è abituata a fare i conti con l’acqua da centellinare, ma questo non ha impedito di farne spreco. Con le reti colabrodo dell’Acquedotto Pugliese, metà della risorsa idrica va perduta e il rischio desertificazione avanza, complice l’effetto xylella che ha ridotto gli oliveti in cimiteri, aggiungendo all’azione killer del batterio la disattenzione e l’ignoranza dell’uomo, che incenerisce ciò che la natura matrigna ha disseccato.
Da anni, da decenni, sentiamo suonare un disco rotto: servono interventi infrastrutturali (improcrastinabili ma sempre rimandati) per evitare di disperdere l’acqua piovana; urge la manutenzione ordinaria e straordinaria dei canali di scolo, delle reti irrigue e degli invasi in stato di abbandono (anche se le cartelle dei Consorzi di bonifica esigono il famigerato tributo 630 per opere non compiute).
Ci sono poi i monumenti allo spreco, come la diga Pappadai: 262 milioni di euro di soldi pubblici spesi, 20 miliardi di litri di portata potenziale, ma rimasta inutilizzata per le solite pastoie della burocrazia in cui il Salento ristagna. Le stesse che impediscono la messa in esercizio di alcuni depuratori, che potrebbero invece garantire il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura, recuperando una risorsa preziosa di cui non può andare sprecata neppure una goccia.
Il territorio salentino è in media quello a minore piovosità d’Italia, e tra le quattro zone meno piovose d’Europa. A questo si aggiunge l’irregolarità delle precipitazioni, con rovesci e grandinate che interrompono lunghi periodi di siccità. Quelle che credevamo pazzie del clima sono diventate la regola, e ogni estate si presenta più torrida e “siticulosa”, per dirla con Orazio. Le vie d’uscita a questa sete che sta strangolando l’agricoltura salentina già messa in ginocchio dalla xylella, ci sono: oltre alle manutenzioni e allo sblocco delle opere idriche in stallo, la desalinizzazione delle acque marine, per irrigare i campi che bevono il 70 per cento dell’acqua. Ma i desalinizzatori richiedono investimenti da centinaia di milioni di euro, e questa strada non si è mai voluta perseguire, nonostante le risorse investite in ricerca in questo campo si sarebbero potute ammortizzare con i risparmi e con la soluzione di un problema che, con i cambiamenti climatici che stanno stravolgendo il pianeta, potrà solo peggiorare.
Anche la riforestazione del Salento, senz’acqua, resterà materia da convegni. Là dove c’erano alberi e vita, chiome maestose e tronchi scolpiti dalla natura che incantavano i turisti, non può nascere nuova vegetazione se non si garantisce un approvvigionamento idrico che appare al momento solo un miraggio nel deserto.
Quella che manca, come in molti problemi della Puglia, è una visione di futuro, un’analisi delle criticità e delle soluzioni, interventi mirati e rapidi. E così, mentre l’arsura brucia, si continua a buttare via più di metà dell’acqua.