Salviamo il mare dalla pesca senza freni

1 Ottobre 2022 Salviamo il mare dalla pesca senza freni

Il mio intervento sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 1 ottobre 2022:

 

Il mare del Salento e della Puglia invoca tregua. Iper sfruttato e sotto assedio, sta esaurendo gli stock biologici di specie marine. Per ridurre la pressione sulle risorse ittiche servono decisioni e misure coraggiose e urgenti. Frenare il saccheggio del mare è la sola via possibile per evitare il deserto che soprattutto la pesca industriale, a strascico e con tecniche predatorie come il cianciolo, sta causando.
Due mesi fa, dopo aver acceso i riflettori sul problema nell’estate 2021, come consigliere regionale ho sollecitato interventi contro la mattanza che si protrae nelle acque salentine ad opera di pescherecci che arrivano da fuori regione, e che si fanno scudo di una legge vecchia di oltre cinquant’anni (il Dpr 1639 del 1968) per continuare a gettare le loro reti da circuizione, con cui catturano in un solo colpo tonnellate di pesci di tutte le dimensioni. A farne le spese non è solo il mare letteralmente depredato, ma anche la piccola pesca locale che rimane a reti vuote. Un comparto che da sempre dà sostentamento a tantissime famiglie salentine è in ginocchio, e rischia di crollare definitivamente se non si interviene con decisione.
Già ad ottobre dell’anno scorso presentai un’interrogazione per chiedere in che modo la Regione intendesse agire per fermare l’accaparramento di risorse ittiche nel mare del Salento e della Puglia, ponendo un freno alla pesca con la tecnica del cianciolo che, oltre a penalizzare i pescatori locali, impoverisce il nostro mare in misura allarmante.
La legge del 1968, che consente ancora oggi pratiche troppo invasive e non più sostenibili, è da tempo superata. Quando fu pensata e approvata, ormai 54 anni fa, lo scenario ambientale era completamente diverso, i cambiamenti climatici che stanno stravolgendo le stagioni e l’intero pianeta erano imprevedibili, la “febbre” del nostro mare e i livelli insostenibili raggiunti dalla pesca industriale erano del tutto imprevedibili. Ecco perché quella legge va cambiata. Il 75 per cento delle specie studiate nel Mediterraneo sono pescate ad un ritmo maggiore rispetto alla capacità di riproduzione: lo dice l’ultimo Rapporto biennale della Fao pubblicato nel 2020, che fotografa una situazione purtroppo peggiorata nel frattempo. E non sono soltanto i pesci, ad essere minacciati nella loro sopravvivenza. Ci sono altre creature del mare in pericolo: i ricci ad esempio, che rischiano l’esaurimento a causa del prelievo sempre più massiccio. La normativa di riferimento (D.M. del 12 luglio 1995) fissa la taglia minima di cattura, non inferiore a 7 centimetri di diametro totale compresi gli aculei. Ma il riccio impiega tra i quattro e i cinque anni per raggiungere questa dimensione, e invece se ne pescano anche di taglia più piccola per soddisfare la richiesta commerciale, talmente alta che già da tempo molti ristoratori salentini e pugliesi si approvvigionano da altri Paesi, soprattutto Grecia, Albania e Croazia.
Per mettere un limite alla pesca invasiva con le reti da circuizione, la Regione ha margini d’intervento: potrebbe istituire delle zone “buffer” (tampone), una sorta di cerchi con raggio di due miglia dai sommi (i punti più alti delle secche con profondità fino a 30 metri dove i pesci si concentrano durante la riproduzione) da interdire ai pescherecci industriali che si accaparrano almeno l’80 per cento delle risorse ittiche. Le zone “buffer” continuerebbero invece ad essere accessibili alle barche della piccola pesca. È questo l’impegno che chiedo alla Regione per tutelare il nostro mare e l’economia che ne trae linfa, in una mozione che presenterò nei prossimi giorni e che si basa su dati scientifici autorevoli: lo studio condotto dalla Stazione Zoologica di Napoli, ottavo ente di ricerca al mondo nel campo della biologia marina. Istituire le zona “buffer” nelle acque del Salento e della Puglia sarebbe un primo passo importante sulla via di regole più severe che regolamentino la pesca in modo da preservare il patrimonio e l’economia del mare.
Sostenibilità: è questa la parola che bisogna avere come faro per riuscire a salvare il nostro mare, minacciato non solo dall’impoverimento ittico ma anche dall’inquinamento e da nuovi colossali progetti di eolico offshore che continuano a spuntano come funghi, senza criteri di localizzazione precisi che li circoscrivano in aree marine giù vocate allo sfruttamento industriale, laddove il loro impatto visivo non possa sfigurare il paesaggio delle località vocate al turismo.